La memoria rende liberi by Liliana Segre & Enrico Mentana

La memoria rende liberi by Liliana Segre & Enrico Mentana

autore:Liliana Segre & Enrico Mentana
La lingua: ita
Format: azw3, mobi
editore: Rizzoli
pubblicato: 2018-01-22T23:00:00+00:00


9

Allein

Il reparto dove lavoravo alla Union si affacciava su un grande corridoio che conduceva ai gabinetti, nel quale campeggiava un grande orologio. Una volta al giorno, noi della fabbrica potevamo andare in bagno e, attraversando il corridoio, buttavamo un occhio all’orologio per vedere che ora fosse. Ricordo con quanta curiosità e interesse osservavamo quelle lancette: nessun prigioniero possedeva orologi, tutti gli oggetti personali ci erano stati sottratti non appena giunti al campo. Anche in questo eravamo delle privilegiate.

Per mesi ricoprii la funzione di inserviente agli operai più qualificati di me, uomini e donne, poiché in fabbrica si lavorava insieme. Fu in quel periodo che mi si spezzò la schiena, e da allora non ho mai più potuto portare pesi.

Un giorno mi diedero il compito di consegnare alcuni pezzi di ferro a un operaio, e così conobbi il professor Hirschel, un francese che nella vita libera era insegnante di storia e che aveva suppergiù l’età di mio padre. Era una persona deliziosa, molto dolce, timida, sensibile: mi ricordò immediatamente papà. Sul lavoro era proibitissimo parlare, ma si riusciva comunque a scambiare qualche parola.

Appena mi vide, mi chiese subito: «Ma quanti anni hai?».

«Tredici» gli risposi.

«Ah… anche la mia bambina…»

Ogni volta che gli portavo i pezzi di ferro, ci raccontavamo qualcosa, frammenti di discorso.

«Che classe hai fatto?» mi domandò un giorno.

«Quest’anno avrei dovuto fare la terza media.»

«E in storia, dove sei arrivata?»

Gli dissi a che punto mi ero fermata con il programma e lui mi fece la sua proposta.

«Facciamo come se fossimo liberi: parliamo di storia, non di cose tristi.»

Così, ogni volta che gli consegnavo del materiale, nei due minuti che gli occorrevano per catalogare il ferro, lui mi faceva un pezzetto di lezione.

Era bellissimo, perché in quel momento non eravamo prigionieri, eravamo professore e alunna. Per giorni e giorni ci riprendemmo i nostri ruoli e un po’ di libertà. Non vedevo l’ora di arrivare in fabbrica per avere questo contatto con lui.

Con il professor Hirschel ci fu un vero scambio: lui mi regalava il suo sapere e io lo ripagavo con la mia sincera attenzione, con il mio interesse. E del resto, come avrei potuto non ascoltarlo? Le sue lezioncine erano incredibili: ripercorrevamo grandi eventi del passato vivendo noi stessi in una pagina di storia. Un film nel film.

Fra i colleghi della Union c’era anche il signor Hans Kahlberg, un tedesco minuto e gentilissimo che viveva a Milano, dove era stato arrestato. Era uno scapolo, quindi entrò nel lager senza aver sofferto strappi e distacchi. Sopravvisse, e qualche volta lo incontrai a Milano, in via Montenapoleone, quando ero una giovane sposa. Ogni volta che mi incrociava mi diceva: «Buongiorno, signora. Si ricorda?». Io ricambiavo il «Buongiorno» e me ne andavo, perché non avevo nessuna voglia di ricordare.

In fabbrica ottenni finalmente notizie di mio papà. Fu il signor Sorani, deportato insieme a noi, a fornirmele.

«L’hanno mandato alla Buna» mi disse. La Buna era un reparto di Monowitz, sempre presso la città di Kattowitz, dove avrebbero dovuto avviare una fabbrica di gomma sintetica. Il progetto fallì e l’impianto non vide mai la luce.



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